Luisa Berardinelli, PierFrancesco Frosini, Massimiliano Gessaroli
L’ACCESSO VASCOLARE PER L’EMODIALISI
- Definizione
- Introduzione
Confezionamento e Gestione degli Accessi Vascolari
- Linea guida 1
Scelta e preparazione del paziente per un programma di emodialisi
- Linea guida 2
Paziente con necessità urgente di un accesso vascolare
- Linea guida 3
Valutazione clinica globale del paziente per la creazione di un accesso vascolare
- Linea guida 4
Selezione e confezionamento degli accessi vascolari
- Linea guida 5
Incannulamento dell’accesso vascolare
Gestione delle Complicazioni
- Linea guida 6
Complicanze dell’accesso vascolare
- Linea guida 7
Indicazioni al posizionamento di CVC
- Linea guida 8
Programma di sorveglianza dell’accesso
Aspetti Logistici ed Amministrativi
- Bibliografia
2
L’ACCESSO VASCOLARE PER L’EMODIALISI
DEFINIZIONE
Un accesso vascolare per emodialisi serve a collegare, con agevoli e periodiche connessioni
transitorie, la circolazione sanguigna di un paziente uremico in fase terminale ad un rene
artificiale al fine di ottenere una depurazione ematica sostitutiva. L’accesso vascolare puo’
essere costituito da un collegamento stabile e diretto tra il circolo arterioso e venoso di un
paziente : fistola artero-venosa o indiretto con interposizione di un segmento vascolare
protesico, al fine comunque di ottenere un segmento vascolare superficiale ad alta portata
ematica, idoneo all’infissione di agocannule , oppure attraverso l’’utilizzazione di cateteri
venosi posizionati all’interno di grosse vene centrali .
INTRODUZIONE
Oltre 43.000 sono oggi in Italia i pazienti che vengono sottoposti al trattamento renale
sostitutivo (dati ANED); la confezione e il mantenimento della funzionalita’ dell’’accesso
vascolare (AV) costituisce la causa più frequente di ricovero per il pz emodializzato in Italia,
come nel resto del mondo Tali accessi vascolari comprendono le fistole arterovenose con i
vasi nativi ( FAV), le fistole artero-venose protesiche (FAVP) e i cateteri venosi centrali/porte
di infusione (CVC) che possono essere variamente utilizzate a seconda delle caratteristiche
anatomo-cliniche del paziente.
Le linee guida del gruppo di lavoro americano NKF K/DOQI, prodotte inialmente nel 1997,
ma continuamente riaggiornate sino al 2006 1,2,3 , basandosi sull’esperienza statunitense
comparata con quella di alti paesi (UE, Australia, Giappone , Canada) , in base alll’evidenza
clinica e alle opinioni di esperti, hanno promosso, rispetto al passato, l’utilizzo della fistola
arterovenosa con i vasi nativi ( FAV), privilegiandola rispetto all’accesso protesico (AP) e
limitando fortemente l’uso dei CVC per ottenere i migliori risultati in termini di pervieta’
dell’AV, di contenimento deii costi, dell’ allungamento e del miglioramento della qualita’ di
vita del paziente emodializzato. L’aggiornamento DOQI 3 del 2006 pone l’attenzione sul
fatto che non solo debba essere istituita come primo accesso una FAV con vasi nativi, ma
che tale accesso possa essere utilizzato per il trattamento dialitico, al massimo dopo 6
settimane, senza ulteriori successivi reinterventi chirurgici o endovascolari.
Il primo studio DOPPS 4 , praticando una indagine in 145 centri dialisi USA e 101 centri
Europei, ha infatti evidenziato come l’accesso vascolare con i vasi nativi fosse adottato
nell’80% dei pazienti prevalenti dei centri europei e solo nel 24 % dei centri dialisi
statunitensi Questo ed altri argomenti inerenti il trattamento del paziente uremico, ha spinto
la Societa’ Europea sugli Accessi Vascolari (VAS) a tentare di omogeneizzare il
comportamento degli staff medici dei diversi paesi europei , con la proposta di proprie linee
guida .. La necessità di istituire le linee guida Italiane per la costruzione e la gestione
dell’accesso vascolare, è stata quindi avvertita e concretata anche dalla Societa’’ Italiana di
3
Chirurgia Vascolare ed Endovascolare (SICVE). L’Italia infatti, pur presentando
caratteristiche ottimali dell’assistenza al pz emodializzato, evidenzia una caratteristica
anomala rispetto ad altri paesi europei, che potrebbe essere modificata per una migliore
gestione dell’accesso vascolare, un miglioramento della qualità di vita del pz, ed un
consistente risparmio delle risorse socio-economiche
L’anomalia è rappresentata dal fatto che il primo accesso vascolare viene ancor oggi in
prima battuta spesso effettuato dal nefrologo. Il chirurgo vascolare viene generalmente
interpellato soltanto dopo l’insuccesso del primo, e spesso, secondo, terzo o addirittura quarto
insuccesso.con il progressivo esaurimento del letto vascolare e la difficolta’ o l’impossibilita’
del confezionamento di ulteriori accessi
Senza nulla togliere all’abilità dei colleghi nefrologi, alcuni dei quali si dedicano con ottimo
successo alla costruzione degli accessi vascolari, anche complessi, in un centro dialisi ben
funzionante il numero degli accessi primari nei pazienti incidenti, i reinterventi o gli
accessi protesici nei pz prevalenti sarebbe assolutamente insufficiente per far acquisire
ad un operatore le tecniche idonee ed assicurare un successo ottimale, tanto più se questo
possiede fragili basi chirurgiche. Appare più utile quindi per ottimizzare i risultati riferire i
pazienti che devono essere sottoposti a tali interventi agli specialisti del settore, e cioè ai
chirurghi vascolari che comunque debbono inserire routinariamente tali interventi nella loro
pratica chirurgica globale o in alternativa centralizzando il trattamento di questi pazienti in
specifiche strutture accreditate regionali ( U.O. di Chirurgia Vascolare) , come da sempre
avviene in tutti gli altri paesi europei e statunitensi.Si ovvierebbe così anche ad un altro grave
inconveniente, e cioè che gli accessi vascolari vengono ancor oggi spesso eseguiti dal
nefrologo in sale di medicazioni senza filtri idonei, con insufficienti scambi di flusso,
insufficiente monitoraggio delle culture microbiche ambientali, dell’acqua e del microclima,
che sono invece routinari nelle sale operatorie, nel discutibile assunto che le FAV raramente
si infettano. Spesso è inoltre insufficiente il rilievo intraoperatorio dei parametri vitali del
pz, che viene in genere operato senza la presenza dell’anestesista. Nozione ben nota al
chirurgo vascolare è, infatti, la possibile insorgenza di crisi allergiche di varia gravità, di
bradicardia, che può giungere fino all’asistolia, dopo l’introduzione di pochi ml di anestetico
locale, o reazioni di ipereccitabilità psicosomatica cui può andare incontro il paziente,
specialmente se anziano. Sono inoltre misconosciuti o sottoutilizzati i sistemi di
ingrandimento ottico, i materiali, i ferri microchirurgici ed in genere i moderni presidi,
che si rendono continuamente disponibili e con qualità sempre migliore sul mercato, e fanno
al contrario parte del normale bagaglio culturale del chirurgo vascolare .
L’allestimento di un accesso vascolare tuttavia rappresenta solo un momento dela complessa
gestione di questi pazienti e solo la formazione di team multidisciplinari, che comprendono
il nefrologo, il chirurgo vascolare dedicato, il radiologo interventista e l’infermiere addetto,
consente di definire le procedure migliori per ottenere, con decisioni condivise, non solo un
accesso vascolare funzionante, ma un accesso utile per il trattamento dialitico: l’”expertise”
del chirurgo vascolare può, infatti, maturare soltanto con un continuo interscambio di opinioni
e confronti col nefrologo per identificare le esigenze dialitiche dei singoli pazienti.
4
Flow-chart 1
Confezionamento e Gestione degli Accessi Vascolari
Scelta dei pazienti per un programma di emodialisi
Pazienti con necessità urgente
di accessi vascolari
valutazione clinico-emodinamica delle sedi idonee agli accessi vascolari
creazione creazione creazione posizionamento
FAV nativa FAV nativa FAV protesica CVC
distale prossimale
Utilizzazione e follow-up accessi vascolari
Gestione delle Complicazioni
Diagnosi e trattamento Diagnosi e trattamento
Emorragia, ematoma , pseudoaneurisma
Edema
Insufficiente maturazione FAV infezioni CVC tunnellizzati
Stenosi
Trombosi
Infezione
Aneurisma vero
Ischemia periferica
FAV ad alto flusso
Aspetti Logistici ed Amministrativi
5
Flow-chart 2
FAV con vasi nativi
FAV radio-cefalica al polso
Insufficiente maturazione PTA
Stenosi FAV radio-cefalica al
III medio del braccio
Non fattibile
Trombosi
FAV prossimale antecubitale
(FAV brachio- mediana basilica o FAV brachio- mediana perforante)
non fattibile
trombosi
FAV prossimale al braccio
( FAV brachio-basilica con trasposizione o FAV brachio-cefalica )
6
Esito positivo
Esito negativo
Flow-chart 3
FAV protesiche
Flebografia:
Pervietà vasi venosi centrali
FAV PROTESICA
Esaurimento
vasi superficiali
Pazienti
obesi con vasi
superficiali
non utilizzabili
Loop
avambraccio
Funzione
ok
Trombosi
Trombectomia
Flebografia
allargata
Utilizzo per emodialisi
FAV retta
braccio
FAV
COSCIA
N0
SI
Esito positivo
Esito
negativo
Esito positivo
7
Confezionamento e Gestione degli Accessi Vascolari
Linea guida 1
Scelta e preparazione del paziente per un programma di emodialisi
Quando un paziente presenta un rapporto di filtrazione glomerulare (GFR) < 25 mL/min il
nefrologo dovrebbe prenderlo in carico, spiegargli la sua patologia e le varie opzioni,
compresi la dialisi peritoneale ed il trapianto, a cui il paziente potrebbe essere candidato ed in
particolare le caratteristiche e il posizionamento di un accesso vascolare per emodialisi . (B)5-6
Secondo Jungers et al. se questo programma educazionale avviene prima di 6 mesi dall’inizio
della dialisi il paziente presentera’ una riduzione di 6-7 volte della degenza ospedaliera e
della mortalita’ postoperatoria nei primi tre mesi rispetto ai pazienti che conosceranno tale
programma solo nei 15 gg. antecedenti 7 L’inizio della dialisi dovrebbe avvenire in presenza
di un FG attorno ai 10 mL/min/1.73 m2, come da raccomandazione delle linee guida NKF
KDOQI HD del 1997 (B)1
• In un paziente che presenta un progressivo aumento dell’insufficienza renale (stadio 4-5)
occorre salvaguardare le vene dell’avambraccio e del braccio che potrebbero essere utilizzate
per un accesso vascolare; e pertanto non devono essere utilizzate per prelievi, infusioni
e.v.(utilizzare le vene delle mani) e non devono essere posizionati CVC nella vena succlavia.
(B)8
• Una FAV con vasi nativi andrebbe eseguita almeno 6 mesi prima dell’inizio della
dialisi per poter maturare la sua portata ed eventualmente essere corretta se necessario (B)3
• Una FAV protesica andrebbe eseguita 3-4 settimane prima dell’inizio della dialisi (B) 3
Linea guida 2
Paziente con necessità urgente di un accesso vascolare
• Quando un paziente presenta l’urgente necessità di un accesso vascolare occorre che il
nefrologo o l’anestesista utilizzino i cateteri venosi centrali sebbene questi presentino un alto
rischio di infezioni, trombosi ed altre complicazioni (A) 3
• Se il catetere deve essere utilizzato per < 2 settimane puo’ essere utilizzato un catetere
temporaneo (da sostituire ogni settimana) utilizzando la vena femorale (B) 9 ;
sede non indicata nei pazienti in attesa di trapianto renale
• Se il catetere deve essere utilizzato per > 2 settimane deve essere munito di una cuffia e
tunnellizzato nel sottocutaneo per limitare l’infezione e preferenzialmente occorre utilizzare
la vena giugulare dx rispetto alla sn o alle vene succlavie (B) 10,11,12
Linea guida 3
Valutazione clinica globale del paziente per la creazione di un accesso
vascolare
• Anamnesi ed esame obiettivo (B)
8
Il paziente che deve essere sottoposto alla creazione di un accesso vascolare deve essere
valutato con una meticolosa anamnesi ed una adeguata visita clinica generale per mettere in
evidenza eventuali caratteristiche e comorbilita’ che potrebbero influenzare il destino
dell’accesso vascolare. In particolare andra’ evidenziato la malattia di base che ha condotto
all’insufficienza renale terminale, il sesso ( donne ), l’eta (bambini, anziani), il diabete ,
l’obesita’, una storia di reiterate infusioni e.v. agli arti superiori, il pregresso posizionamento
di CVC o pacemaker, o pregressi accessi vascolari, malattie cardiache (pregressi infarti del
miocardio, alterazioni del ritmo, insufficienza cardiaca), arteriopatie ostruttive periferiche,
insufficienza cerebro-vascolare (ictus, emiparesi), malattie autoimmuni, neoplasie, severe
malattie articolari degli arti, chirurgia o terapia radiante locale e regionale, abuso di fumo o di
droghe, infezioni sistemiche,ipotensione cronica, terapie immunodepressive e terapia
anticoaugulante. 13,14,15
L’esame obiettivo deve partire dall’ispezione degli arti :
�� presenza di cicatrici (da pregressi interventi o traumi), lesioni trofiche periferiche , segni
di uso di droghe
�� flogosi cutanea (intervento solo dopo risoluzione del’infezione)
�� edemi e/o evidenza di circoli collaterali venosi superficiali sul braccio, cingolo scapoloomerale
, torace o altre sedi (segni indiretti di possibili stenosi venosa a livello centrale:
indicata flebografia
tradizionale o con CO2,o angioRMN), differenza di volume dei due arti
�� spessore del pannicolo adiposo sottocutaneo
�� trofismo della cute (maggior esposizione alle infezioni in caso di cute atrofica ed
anelastica).
Segue la palpazione delle vene utilizzando un laccio emostatico o meglio di uno
sfigmomanometro (40 mm Hg) al fine di valutarne la continuita’, il diametro, la
distensibilita’ e la compressibilita’; successivamente la palpazione delle arterie valutandone la
pulsazione, l’ampiezza e la differenza pressoria tra i 2 arti superiori.( che non deve superare
20 mmHg) La valutazione del circolo arterioso della mano puo’ essere effettuata con il test di
Allen, di cui sono pur noti i limiti..; infine l’auscultazione a livello ascellare e succlavio per il
rilievo di eventuali soffi:
In particolare nelle donne, nei bambini, negli anziani , nei diabetici con arterie calcifiche si
discute molto sull’utilita’ di confezionare un accesso vascolare con vasi nativi dstali vista
l’alta incidenza in questi pazienti di fallimenti o complicazioni di FAV al polso.
Allo stesso modo se il paziente presenta un arto paretico questo deve essere usato
preferenzialmente per il posizionamento di un accesso vascolare, anche se presentera’ vasi
piu’ piccoli e una maggiore possibilita’ di lesioni da decubito.
• Eco-doppler arterie e vene dell’arto superiore (A)
L’indagine ultrasonografica appare il metodo piu’ indicato per un adeguato “mapping”
preoperatorio 16 perche’ oltre a permettere una adeguata valutazione emodinamica sia
dell’arteria che della vena, consente di valutare la qualita’ della parete dei vasi (calcificazioni
arteriose) ed il loro calibro . Studi emodinamici hanno infatti dimostrato che vene con
diametro inferiore a 2 mm utilizzate per FAV radio-cefaliche presentano una pervieta’
9
primaria a 3 mesi del 16% rispetto al 76% di quelle con calibro maggiore di 2 mm. Inoltre
permette di valutare la continuita’ delle vene specie nei pazienti sottoposti precedentemente a
reiterate infusioni e.v. e la distensibilita’ del letto venoso che dovrebbe incrementarsi del 50%
di diametro.17-20
• Valutazione delle vene centrali nei pazienti portatori di CVC o pacemaker (A)3
La flebografia allargata ai grossi vasi del torace rimane il gold standard per una valutazione
dello scarico venoso centrale:e dovrebbe essere esguita nei casi di

Pregressi incannulamenti dei grossi vasi centrali 21
• Presenza di pacemaker 22
• Pregressi traumi/ interventi sugli arti o sul collo, interventi cardiaci o polmonari
• Edema dell’arto programmato per l’AV
• Presenza di circoli collaterali scapolo omerali o toracici, anche controlaterali alla sede
programmata per l’AV
• Reiterati accessi vascolari falliti
L’indagine ultrasonografica presenta una specificita’ del 97% ed una sensitivita’ dell’ 81%
nell’evidenziare una occlusione delle vene centrali. Nell’indicazione al confezionamento di
una ulteriore FAV, dopo il fallimento di precedenti accessi , occorre valutare non solo la
presenza di una occlusione venosa centrale ma anche la sola presenza a questo livello di
stenosi emodinamiche ed a tal fine oltre alla flebografia potrebbe essere utilizzata la MRA 23
• Valutazione angiografica del sistema arterioso (B)
Raramente indicata , va eseguita soltanto nel sospetto di lesioni steno-ostruttive arteriose
centrali scaturite dall’indagine clinica o ultrasonografica
Linea guida 4
Selezione e confezionamento degli accessi vascolari
Un accesso vascolare deve essere confezionato il piu’ distalmente possibile in un arto
superiore, dapprima in quello non dominante dando la precedenza a FAV con vasi nativi e
successivamente a quelle protesiche: Il CVC dovrebbe essere utilizzato solo
nell’impossibilita’ del confezionamento di FAV 3.
4.1 Selezione degli accessi vascolari.
La selezione degli accessi vascolari permanenti in ordine di preferenza decrescente dovrebbe
pertanto essere,:
• Preferiti: fistole con vasi nativi (A)
- fistola distale radio-cefalica (A)
- fistole prossimali antecubitali (A)
- fistola braccio-basilica con trasposizione (B)
�� Accettabili: fistole artero-venose protesiche sintetiche o biologiche (B)
- “loop” protesico all’avambraccio
- “straight” protesico al braccio
- “loop” al torace o all’arto inferiore quando esaurite le sedi negli arti
superiori
10
�� da evitare se possibile : cateteri semipermanenti (B)
- i cateteri temporanei devono essere utilizzati solo per la dialisi in urgenza
e per breve tempo nei pazienti ospedalizzati (B)
- i cateteri semipermanenti possono essere utilizzati in concomitanza ad
una programmazione di un accesso permanente (B)
- i cateteri semipermanenti nello stesso lato dove sta maturando una FAV
nativa o protesica (B)
In genere, la sequenza del confezionamento delle FAV deve progredire dalla periferia in
senso prossimale . In una progressione ottimale dovrebbe essere allestita dapprima una fav
radio-cefalica alla tabacchiera anatomica, qundi al polso, seguita da una fav al III medio del
braccio ed infine antecubitale. Si procedera’ poi con le fav antecubitali al gomito tra l’arteria
brachiale e le diverse vene mediane ed infine si potra’ confezionare una fav braccio-basilica
con trasposizione.
4.2 Confezione degli accessi vascolari.
4.2.1 Fistole Artero-Venose Distali .
Le FAV distali sono rappresentate dalla FAV radio-cefaliche alla tabacchiera anatomica, al
polso, al III medio e superiore dell’avambraccio ed infine dalla FAV ulno-cefalica ,
pressoche’ completamente in disuso
La FAV radiocefalica al polso (FAVRC) rappresenta il migliore accesso primario distale (B)
poiché è relativamente semplice da creare 24,25, realizza un maggior tratto di vena
arterializzata pungibile, presenta una maggior durata nel tempo rispetto ad altri tipi di
accessi vascolari primari, 26-28 minori complicanze ,soprattutto steal sindrome ed infezione,
e preserva al contempo i vasi prossimali per ulteriori futuri accessi
Una variante della FAV distale al polso , attualmente poco utilizzata, e’ rappresentata dalla
FAV alla tabacchiera anatomica ( C) 29 non particolarmente gradita dai pazienti a causa del
negativo impatto estetico sviluppandosi sul dorso della mano.
In letteratura viene descritto come principale problema della FAVRC un tasso relativamente
elevato di insuccessi primari (15%) ed una pervietà secondaria al primo anno relativamente
bassa (62%) 3
Riguardo alla tecnica da impiegare, l’ anastomosi artero-venosa maggiormente utilizzata e’ la
termino (vena cefalica)- laterale (arteria radiale) (A) 31,32
L’ anastomosi termino-terminale andrebbe evitata a favore dell’anastomosi termino (vena)-
laterale o latero-laterale che possono giovarsi nella fase iniziale di maggior flusso arterioso da
0-50% ad opera anche del flusso arterioso distale, anche se potrebbero teoricamente esporre
ad un maggior rischio potenziale di ischemia da furto; l’anastomosi latero-laterale inoltre puo’
facilmente produrre una ipertensione venosa periferica a causa del flusso venoso retrogrado
. L’utilizzo preoperatorio del test di Allen riduce, ma non annulla i rischi di ischemia, 33,34
che sono meglio valutabili daal’indagine ultrasonografica.(A) 35,36
Nel caso di insuccesso della FAV radiocefalica al polso, gli stessi vasi possono essere
recuperati per confezionare una fistola al III inferiore dell’avambraccio, al III medio o al III
prossimale (C ), 37 quest’ultima peraltro poco utilizzata.
11
4.2.2 Fistola Arterovenosa Prossimale
La FAV prossimale sebbene rappresenti una seconda scelta rispetto alla FAV distale , può
costituire anche l’accesso primario (A), con garanzie di lunga durata 38-42 quando non esistano
i presupposti anatomici per praticare una FAV distale o si tema l’insorgenza di una “steal
syndrome” .
I vantaggi della FAV prossimale si identificano nella maggiore portata, nella maggior facilità
di incannulazione delle vene, che sono di calibro maggiore nel braccio, rispetto
all’avambraccio, e nel miglior risultato estetico.
Gli svantaggi includono la necessità di un bagaglio tecnico superiore rispetto a quello
necessario per costruire una FAV distale ed il maggior rischio potenziale di una “steal
syndrome”.
Riguardo alla tecnica da impiegare, i vasi più comunemente usati per costruire la FAV
prossimale con una anastomosi latero-laterale 43, sono l’arteria brachiale, da isolare sotto il
lacerto fibroso e la vena mediana- basilica. sebbene l’assetto anatomico del circolo venoso
antecubitale sia estremamente variabile e tutte le vene antecubitali siano utili per
confezionare l’anastomosi., in particolare la vena mediana perforante 44 (B); in tutti i casi
se la vena perforante non viene utilizzata per l’anastomosi perche’ troppo piccola o troppo
corta , dovrebbe essere comunque sempre legata per evitare l’ipertensione nel circolo venoso
profondo.L’ampiezza della bocca anastomotica dovrebbe essere attentamente calibrata
tenendo presente il diametro dell’arteria afferente. Al termine dell’intervento, nei pazienti
obesi, può risultare vantaggiosa una lipectomia, per superficializzare i vasi e facilitare le
successive punture 45
4.2.3 FAV con trasposizione di vena
Il confezionamento di una FAV con trasposizione di vena (generalmente la v.basilica, ma
anche la v.cefalica) dovrebbe essere una seconda scelta dopo una FAV prossimale ostruita o
con insufficiente sviluppo , mentre puo’ essere utilizzata come prima scelta nel paziente
ipoteso o a rischio di infezioni, in alternativa agli accessi protesici.(B) 46-52
Anche se la trasposizione della basilica prevede tempi operatori più lunghi, una tecnica
chirurgica più sofisticata ed espone il paziente ad una guarigione più lenta, rispetto ad altri
tipi di accesso vascolare .La FAV con trasposizione della vena basilica in 2 tempi
sembrerebbe migliorare la pervieta’ nel tempo di tale accesso vascolare in quanto il
successivo isolamento della vena basilica , gia’ arterializzata produrrebbe minori
complicazioni dal trauma dei vasa vasorum e dalla rimozione dell’avventizia 53-56
4.2.4 Jump fistola
Prima di passare al confezionamento di una fav protesica vera e propria, occorre prendere in
considerazione anche la possibilita’ di utilizzare segmenti venosi superficiali (cefalica o
basilica,) anche distanti dalle sedi idonee all’anastomosi arteriosa, attraverso l’utilizzazione
di piccoli ponti protesici tra l’arteria e la vena che servano solo alla costituzione della FAV e
di un flusso idoneo nel segmento venoso efferente che risultera’ pungibile (B) con buona
pervieta’ nel tempo 57,58
4.2.5 Accessi Vascolari Protesici
La confezione dell’accesso vascolare protesico (FAVP) dovrebbe essere praticata soltanto
quando non esista più alcuna possibilità di utilizzare i vasi nativi (B).
I vantaggi degli FAVP rispetto alle FAV native sono 59-66:
12
• una tecnica chirurgica dell’anastomosi vascolare più semplice
• una maggiore estensione del tratto pungibile
• più agevole incannulazione
• un periodo di maturazione più breve rispetto alle FAV native; un minimo di 3 settimane è
tuttavia richiesto per consentire l’incorporazione della protesi (B) da parte dell’organismo
ospite, per evitare danni alla puntura (L’urgenza di iniziare la dialisi precocemente non
giustifica comunque l’impiego in prima battuta di materiale protesico, anche se raggiunge
una maturazione prima di una FAV nativa, potendo ricorrere temporaneamente all’uso di
CVC )
• maggior facilità di trattamento delle complicanze, sia dal punto di vista chirurgico , che
endovascolare
I principali svantaggi sono rappresentati da:
• inferiore durata rispetto alle FAV native
• limitazione per la sede di futuri accessi .
• maggior numero di complicanze, soprattutto l’infezione e la stenosi sull’outflow venoso.
• costi superiori rispetto alle FAV native
Prima della costruzione di un FAVP va esplorato con indagini strumentali l’outflow venoso
(A),
con la flebografia allargata ai grossi vasi del torace , e secondo l’esperienza locale
radiologica anche con Angio-RMN o Angio-Tac.
Le protesi vascolari possono essere di origine sintetica, biologica o semi-biologica 67,68
la scelta del materiale da utilizzare è affidata all’esperienza del chirurgo, alla situazione
clinica e vascolare del singolo pz e alla disponibilità economica dell’ente (B) 69
La protesi che ha presentato maggiore diffusione è il PTFE , ma possono essere utilizzate con
analoghi risultati altri tipi di protesi sintetiche (poliuretano) 70,71 o biologiche (B)
Esistono molte varianti tecniche del PTFE
• la struttura della parete: PTFE ( Impra-graft ) o ePTFE (Gore) 72-74
• a parete spessa o sottile 75
• la presenza o l’assenza di anelli sulla superficie esterna della protesi o integrati 76
• il diametro uniforme o conico 77,78
• l’eventuale presenza di una cuffia per incrementare l’outflow venoso e ridurre
l’iperplasia anastomotica 79.80
• la presenza di una ’elasticita’ longitudinale i cui risultati abbisognano di ulteriori
indagini prospettiche
.Le protesi biologiche e semibiologiche rispetto a quelle sintetiche presentano maggiore
elasticità e maneggevolezza chirurgica, superiore resistenza all’infezione, anche se sono più
esposte all’insorgenza di aneurismi , minore disponibilita’ di calibri e maggiori problemi di
stoccaggio 81-83.
Per la collocazione della protesi, l’arto superiore è sempre preferibile all’arto inferiore, dove
esiste maggiore incidenza di infezioni ed arteriopatia periferica ( B). Vanno comunque
13
considerate per la costruzione dell’FAVP la situazione anatomica individuale, l’esperienza
del chirurgo, la durata prevista del trattamento dialitico (B).
Per quanto riguarda la tecnica, le configurazioni generalmente impiegate, in ordine di
preferenza, sono il decorso a loop sull’avambraccio, che va preferibilmente istituito per
primo, allo scopo di risparmiare successive sedi di accesso , e il decorso retto, o meglio a J ,
sul braccio.
La protesi retta di braccio dovrebbe essere costruita solo quando siano esauriti i vasi utili per
costruire un loop sull’ avambraccio (B) .Prima di pensare ad un nuovo accesso, comunque va
sempre preso in considerazione il recupero dell’accesso malfunzionante, con una delle
numerose tecniche a disposizione che fanno parte del bagaglio del chirurgo vascolare ed
endovascolare.In qualche caso, dopo l’esaurimento dellA FAVP sull’avambraccio ,
eseguito per particolari condizioni del paziente (bambini, gravi obesi et,) si può prendere in
considerazione la confezione di una FAV nativa, con maggiore possibilità di successo,
utilizzando gli stessi vasi venosi, ampliati dal funzionamento della precedente FAVP
Una volta esaurite tutte le possibilità di costruire un accesso sugli arti superiori, dovrebbe
essere presa in considerazione la dialisi peritoneale, prima di pensare all’utilizzo degli arti
inferiori per la costruzione di accessi vascolari, in quanto a tale livelllo vengono generalmente
impiegati materiali protesici ad alto rischio di complicazioni 84-87
La dialisi peritoneale va ancora considerata come sistema di depurazione alternativo, prima di
programmare la costruzione dei cosiddetti accessi , “estremi” o “disperati” 88-93
secondo la dizione dei vari Autori, come l’ axillo-giugulare (esterna,o meglio, interna),
axillo-ascellare (o “necklace”), o accessi artero-venosi che utilizzano come outflow sedi
atipiche, come l’atrio o la vena renale.
Linea guida 5
Incannulamento dell’accesso vascolare
5.1 Incannulamento delle FAV native
Le FAV native appaiono generalmente più difficili da pungere rispetto Alle FAVP , e questa è
probabilmente una delle ragioni per cui negli Stati Uniti esiste una maggior diffusione delle
seconde , rispetto alle FAV native . La FAV va lasciata “ maturare” per almeno un mese
prima dell’uso 94 ed è presumibilmente pronta per essere utilizzata quando risponde alla
regola del 6, e cioè: flusso superiore ai 600 mL/ min, diametro almeno di 0,6 cm, profondità
non superiore a 0,6 cm (B).
Per accelerare la maturazione della FAV sono raccomandabili esercizi isometrici 95,96 come
la compressione di una pallina di gomma, con o senza l’applicazione con blanda
compressione di un laccio emostatico, allo scopo di incrementare il diametro delle vene
dell’avambraccio (B). Anche la correzione di uno stato anemico, diminuendo le resistenze
periferiche e incrementantando l’output cardiaco può anche migliorare il flusso della FAV.
Ogni centro dialisi dovrebbe adottare un protocollo per la puntura delle FAV in sviluppo 97e
soltanto i tecnici piu’ abili dovrebbero pungere inizialmente la FAV , impiegando aghi di
calibro più piccolo (17 G), che aumenterà progressivamente con lo sviluppo della FAV e
valutando caso per caso il dosaggio dell’anticoagulante. In pazienti selezionati, dovrebbe
essere incentivata l’autoincannulazione dei vasi.
Fra le tecniche di puntura, per le FAV native può essere preferibile a seconda della
preferenza e dell’esperienza del centro la cosiddetta “button/hole”, cioè la punture in una
14
sede cutanea costante con preciso tragitto sottocutaneo, che ha il vantaggio di provocare
minor dolore al paziente ed identificare precisamente la sede migliore per l’introduzione degli
aghi anche per il tecnico che punge occasionalmente, mentre per gli AP appare preferibile la
tecnica del “rope-ladden”, cioè una accurata rotazione delle punture per tutto il decorso della
protesi.
5.2 Incannulamento delle FAVP.
Occorre ricordare che i sostituti protesici costituiscono soltanto un’impalcatura su cui viene
costruita la protesi vera e propria con le cellule del pz, veicolate dal sangue e dai tessuti
circostanti. La protesi non va dunque utilizzata per almeno 3 o 4 settimane.. Per alcuni tipi di
materiali è accettabile una puntura precoce, per ovviare alla necessità di dover posizionare
un CV temporaneo per le necessità dialitiche.
5.3 Tecniche di incannulamento.
Lasciando ai dializzatori la cura di identificare i migliori materiali di disinfezione e le migliori
tecniche di preparazione della cute, non sembra inutile raccomandare l’asepsi per tutta la
durata della procedura di incannulamento, il lavaggio delle mani dell’operatore ,l l’utilizzo di
guanti sterili e il cambio totale del materiale , per evitare l’infezione dell’accesso e la
trasmissione di malattie da un pz all’altro e agli stessi operatori (A) 98
Gestione delle Complicazioni
Linea guida 6
Complicanze dell’accesso vascolare
Le complicanze correlate all’AV rappresentano la principale causa di morbilità nel pz
emodializzato, con alta percentuale di ospedalizzazione, fino al 24% di tutti i ricoveri
ospedalieri 99-102 Il riferimento del pz al chirurgo vascolare, che deciderà col nefrologo quale
terapia correttiva instaurare, deve essere tempestiva (A). La precoce identificazione di una
disfunzione dell’accesso e l’adozione delle relative misure correttive, comportano infatti un
prolungamento della durata dell’accesso ed una riduzione dei costi di gestione 103-105
Generalmente il nefrologo che ha in carico il pzi, segnala al chirurgo il sospetto di una
complicanza dell’accesso vascolare. Senza voler entrare nel merito dei vari programmi di
sorveglianza dell’AV, già la misura del ricircolo ovvero il ritorno del sangue dializzato al
rene artificiale senza che si sia verificato un sufficiente equilibrio con il circolo arterioso
sistemico, evidenzia lo stato di funzione dell’AV. Anche se questo test non presenta una
specificità assoluta, un ricircolo superiore al 15 % è spesso il sintomo di un’insufficiente
depurazione dovuta ad un ridotto flusso all’interno dell’AV, che dovra’ essere convalidato
da una indagine ultrasonografica e/o angiografica 106
Le complicanze che intervengono nei primi 6 mesi dall’istituzione dell’AV dovrebbero in
particolare essere identificate e risolte tempestivamente per limitare i rischi di perdita
dell’accesso vascolare 107
15
Le complicanze più frequenti sono:
�� Emorragia, ematoma, pseudoaneurisma
�� Edema dell’arto omolaterale all’accesso vascolare
�� Insufficiente maturazione della FAV
�� Stenosi
�� Trombosi
�� Infezione
�� Aneurisma vero
�� Ischemia e ”steal sindrome”
�� FAV ad alto flusso
6.1 Emorragia, ematoma, pseudoaneurisma
6.1.1 Emorragia , ematoma
Una modesta soffusione ematica è frequente dopo confezione dell’AV. Se questa non si
risolve nell’arco di una settimana, o se tende ad aumentare, devono essere prese in
considerazione misure correttive.
Tra le cause precoci di emorragia:
• Alterazioni della coagulazione
• Sovradosaggio dell’anticoagulante
• Presenza di ipertensione mal controllata e/o di anemia importante
• Difetto tecnico nel confezionamento delle anastomosi
• Puntura troppo precoce dell’AV, soprattutto nel caso di FAV native
• Lesione involontaria di rami venosi nella formazione del tunnel sottocutaneo di una FAVP
Tra le cause tardive:
• Sovradosaggio dell’anticoagulante
• Errato posizionamento o rimozione degli aghi dialitici
• Involontaria fuoriuscita dell’ago per dialisi dalla parete posteriore del vaso
• Inadeguata compressione postdialitica
• Arterite settica (vedi:infezione)
Diagnosi:
o Segni obiettivi di infiltrazione ematica intorno all’AV, edema, cellulite dei tessuti
circostanti; cambiamento della pressione intravascolare alla palpazione; soffio ad alta
frequenza all’auscultazione
o Controllo dei parametri vitali e dell’Ht
o Modificazioni emodinamiche della FAV per compressione estrinseca da parte dello
spandimento emorragico, dimostrabili con ecocolordoppler
o Comparsa di tumefazione perivasale o periprotesica, che può trasformarsi in un ematoma
pulsante (pseudoaneurisma) o in uno pseudoaneurisma infetto
Il rischio di emorragia/ematoma è maggiore durante il primo periodo di uso della FAV
native, soprattutto se si tratta di una FAV prossimale . Se l’emorragia o l’infiltrazione
ematica dei tessuti circostanti la FAV non si risolve nell’arco di una settimana, se determina
una compressione emodinamicamente significativa della vena arterializzata o se tende ad
aumentare, devono essere prese in considerazione misure correttive.
Il trattamento varia a seconda del periodo di insorgenza della complicanza, dell’entità del
sanguinamento e dello stato clinico del pz :
16
o Nelle emorragie postoperatorie, che sono spesso “a nappo” e dovute ad un difetto della
funzione piastrinica, si pratica inizialmente: osservazione clinica, blanda compressione,
crioterapia, correzione dell’ ipertensione e/o dello stato anemico, messa a riposo e rialzo
dell’arto; se è gia iniziato il trattamento depurativo, la dialisi va eseguita in una sede
alternativa fino alla risoluzione della complicanza
o Se l’infiltrazione ematica e l’edema non si risolvono in una settimana, va istituita
antibioticoterapia e praticata tolette chirurgica dell’ematoma per evitare rischi di infezione, e
perdita dell’AV
6.1.2 Pseudoaneurisma
Lo pseudoaneurisma o falso aneurisma, è una raccolta ematica che non ha parete vascolare
propria, ma soltanto una capsula reattiva di connettivo; può insorgere precocemente, per un
errore della tecnica chirurgica, o tardivamente per stravaso emorragico in sede di venipuntura
per inadeguata compressione della FAV allo stacco o in seguito alla lacerazione del vaso da
reiterate punture dialitiche nella stessa sede. Lo stravaso emorragico può portare alla
formazione di un ematoma, che perde la comunicazione col vaso arterializzato, si organizza e
si trombizza, oppure rimane in comunicazione con questo e si forma uno pseudoaneurisma
pulsante, che aumenta di volume col tempo, provocando fastidio e dolore per compressione
sui tessuti vicini, si può infettare e rompere, con una emorragia cospicua, anche fatale.
L’osservazione clinica indirizza la scelta terapeutica. Nella prima evenienza, l’atteggiamento
può essere conservativo, evitando di pungere la sede dello pseudoaneurisma fino al suo
completo riassorbimento (B); nell’evenienza dello pseudoaneurisma pulsante ed in rapida
espansione, il pz deve essere avviato al trattamento chirurgico programmato per prevenire le
complicanze infettive, emorragiche o emboliche (A).
Lo pseudoaneurisma di una FAVP dovrebbe essere trattato con la resezione e l’interposizione
di un nuovo tratto protesico o terapia endovascolare (B) se:
• presenta una rapido aumento dimensionale
• se raggiunge un diametro doppio, rispetto al diametro della protesi
• se compare una erosione cutanea
• se compare infezione (A) (v. inf ezione)
Uno pseudoaneurisma che diventi settico nell’immediato decorso postoperatorio o coinvolga
l’anastomosi arteriosa richiede un trattamento chirurgico urgente demolitivo, sotto copertura
antibiotica, di chiusura dell’accesso, ampia e completa toilette chirurgica con rimozione
totale della protesi e di tutto il materiale potenzialmente infetto (A).
6.2 Edema dell’arto omolaterale
La creazione di una fistola artero–venosa comporta un incremento del flusso ematico per
l’arterializzazione del circolo venoso superficiale e la comparsa di un edema transitorio che
si risolve in genere con l’elevazione dell’arto.
Le FAV radiocefaliica latero-laterali sono particolarmente esposte a tale complicanza, che si
concreta nella patologia transitoria della cosiddetta “puffy hand”, cioè un edema della mano,
che compare a valle della FAV immediatamente dopo la confezione, dovuto ad un aumento
di flusso, e quindi di pressione, nel letto veno-linfatico superficiale. La diagnosi differenziale
deve essere attuata con un ematoma,un’infezione e con una ipertensione venosa da stenosi
dell’outflow venoso 108,109
17
Se l’edema persiste oltre le due settimane postoperatorie, o aumenta, deve essere indagato
l’outflow con indagini strumentali, che possano evidenziare la presenza di una patologia
misconosciuta da correggere. (B).
Se si evidenzia un edema di tutto l’arto, a partire dalla radice, si può pensare ad una trombosi
venosa a livello del cavo ascellare , o più facilmente ad una ipertensione centrale , dovuta
alla stenosi o trombosi dell’asse axillo-succlavio-cava superiore, misconosciuta al momento
dell’intervento o insorta nel tempo per l’ evoluzione di processi fibrotici secondari a
pregressi incannulamenti delle grosse vene prossimali.
La stenosi dei vasi venosi centrali puo’ risultare asintomatica, finchè non si costruisce un
accesso vascolare. Se la stenosi supera il 50% , se esiste una trombosi della v.succlavia o
del punto di giunzione fra tronco anonimo e cava superiore dopo l’istituzione dell’AV, si può
verificare precocemente (entro i primi 4-6 giorni) una trombosi della FAV qualora siano
stati usati per la confezione vasi periferici, oppure un edema di tutto l’arto omolaterale
all’AV.
L’ipertensione venosa centrale si verifica soprattutto quando le arterie impiegate per la
costruzione dell’ AV sono di calibro maggiore, come la brachiale o l’ascellare mentre con una
FAV radiale in genere conduce alla precoce trombosi della FAV
Nell’ipertensione centrale, si sviluppano frequentemente circoli collaterali a carico del
cingolo scapolo-omerale, delle fossette sopraclaveari, della parete laterale del torace
La sede e la causa dell’edema, oltre che con la clinica, può essere identificata con
metodiche non invasive 110,111, ma la flebografia presenta tuttora un ruolo preponderante
anche se si sta sempre piu’ utilizzando a tal fine l’ Angio-RMN 112
La diagnosi differenziale si opera soprattutto con l’ischemia e la sindrome da furto
6.2.1 Trattamento dell’edema dovuto alla stenosi dell’ out-flow periferico .
Il trattamento varia a seconda del momento in cui il pz giunge all’osservazione del chirurgo.
Quando non sono ancora presenti ulcere con perdita di sostanza, il trattamento di scelta
appare un trattamento percutaneo della stenosi venosa con una PTA (A), associando
eventualmente uno stent (C), oppure interporre chirurgicamente un “bridge”, che “salti” la
stenosi venosa periferica (B) 113,114
6.2.2 Trattamento dell’edema dovuto alla stenosi/trombosi dell’out-flow centrale .
Il trattamento elettivo dell’ipertensione venosa centrale è costituito dalla angioplastica
percutanea (PTA) della zona stenotica (A), corredata dal posizionamento di stent, se la
stenosi è elastica o ricorrente 115,116 entro 3 mesi (B) .
I risultati del trattamento sono evidenti già durante le 24 ore dopo ila manovra correttiva, con
remissione dell’edema e normalizzazione del volume dell’arto. Purtroppo, la re-stenosi è un
fenomeno frequente, che deve essere di volta in volta trattata.
L’alternativa alla PTA è rappresentata dalla chiusura dell’AV e la rivalutazione del paziente
per la costruzione di un altro AV in una zona diversa (A). Infatti, la correzione chirurgica
delle stenosi centrali risulta poco consigliabile, dato l’alto rischio operatorio che comporta
per il pz uremico e gli insufficienti risultati ottenuti 117-119
6.3 Insufficiente maturazione della FAV
Si definisce insufficiente maturazione dell’ AV la complicanza per cui pur funzionando
dal punto di vista tecnico,l’AV non raggiunge flussi soddisfacenti per una dialisi adeguata.
Tale complicanza si verifica con maggior frequenza nelle FAV, soprattutto distali, in quanto
vengono utilizzati vasi più piccoli ed a portata minore e nei pazienti con patologie calcifiche a
18
carico dell’arteria (nefrocalcinosi uremica, diabete) o della vena (fibrosclerosi) preesistenti al
confezionamento della FAV 120,121
Se l’indicazione è stata correttamente posta con l’aiuto del mapping preoperatorio 122, una
FAV radiocefalica si sviluppa in 4-6 settimane con le caratteristiche di maturazione della gia’
ricordata regola del 6 .Il periodo di maturazione può variare però notevolmente da pz a pz e
ill flusso dell’AV puo’ non raggiungere valori utili per una dialisi adeguata. Se dopo 6
settimane la FAV non ha presentato una sufficiente maturazione, è consigliabile
approfondirne la causa del mancato sviluppo con le indagini strumentali e porre in atto le
adeguate misure correttive (B ): 123 infatti, un flusso inadeguato dell’AV determina uno stato
di sottodialisi,con la conseguenza di un’ incrementata morbilità e mortalità.124
Segni di una insufficiente maturazione possono essere:
• Flusso basso della FAV
• Ricircolo superiore al 15%
• Resistenza venosa fuori dal trattamento dialitico superiore a 50 mmHg ed intradialitica
superiore ai 100 mmHg con un flusso di pompa a 200 ml/min
• Frequente insorgenza di pressione negativa sul versante arterioso durante la dialisi.
Le cause dell’insufficiente maturazione possono essere molteplici:125,126 tra le più frequenti
• Un cattivo stato del letto venoso periferico
• Una caduta di flusso nella vena efferente principale attraverso collaterali venose
ipertrofiche, in assenza di vere e proprie stenosi
• Un’insufficiente portata dell’arteria , utilizzata per la costruzione dell’AV, sia per ragioni di
calibro (calibro esiguo, anomalie anatomiche) o difetti tecnici, sia per patologie associate
locali o sistemiche L’indice di resistenza arterioso appare un importante elemento predittivo
della trombosi precoce di una FAV primaria 127
• L’inesperienza del chirurgo: l’effettuazione dell’ AV da parte di un chirurgo non dedicato
comporta un insuccesso con un tasso 3 volte superiore 128,129
L’esame ultrasonografico 130e la fistolografia identificano la natura e la sede arteriosa o
venosa della eventuale lesione, che potratto essere riparate chirurgicamente o con le
manovre endovascolari. (B) In genere l’insufficiente maturazione dellì’ AV dipende dall
calibro troppo esiguo dell’arteria o da una sua patologia; alcuni autori, in casi selezionati, ne
propongono la correzione con PTA La costruzione di un nuovo accesso più a monte, che
impieghi arterie di calibro maggiore, come la brachiale è più spesso risolutivo per ottenere
una FAV a portata adeguata112. In particolare nel bambino, nel pz diabetico, o con vasculiti
periferiche, , è utile praticare direttamente come accesso primario una FAV prossimale 131
.In qualche caso, se non esistono stenosi prossimali nel circolo venoso, il flusso della FAV
può essere potenziato dalla legatura selettiva delle diramazioni venose 132,133, convogliandolo
in un unico tronco venoso (C) Nelle fistole difficili da pungere, può essere utile un intervento
di superficializzazione delle vene arterializzate, con mobilizzazione nei piani superficiali
(B) 134
.
6.4 Stenosi
La stenosi dell’AV si verifica soprattutto a carico del letto venoso ed espone al rischio di
trombosi 135,136, mentre e’ molto piu’ rara a livello dell’in-flow arterioso. Nelle FAV native, la
19
diagnosi di una stenosi significativa dal punto di vista funzionale può essere precocemente
attuata con la misura del ricircolo 138-142 , mentre tale sintomo è meno accentuato e soprattutto
tardivo nelle FAVP. La riduzione del flusso all’interno dell’AV è una costante, ma,
contrariamente alle FAV native, la presenza di stenosi negli FAVP determina un incremento
dell’ampiezza del polso. Elevate pressioni venose e pressioni negative sul versante arterioso
durante la dialisi sono altri segni di stenosi, da indagare con successive indagini strumentali.
6.4.1 Stenosi nelle FAV native
Nelle FAV, la stenosi si verifica con la massima frequenza a livello dell’anastomosi 143, o nel
tratto di vena subito a valle della FAV. La riduzione del thrill e della portata sono sintomi
che si accompagnano alla stenosi della FAV 144. Nell’insorgenza precoce della stenosi le
cause vanno frequentemente ricercate in difetti tecnici nella confezione dell’anastomosi. Le
stenosi post-anastomotiche e quelle che insorgono lungo il decorso della vena arterializzata
sono al contrario spesso tardive e dovute al microtrauma degli aghi da dialisi, alla guarigione
in cicatrice del punto di penetrazione nella vena, all’eccessiva rimozione dell’avventizia nei
vasi impiegati per l’anastomosi o allo sviluppo di una iperplasia miointimale.
Una stenosi significativa dal punto di vista emodinamico e clinico richiede un tempestivo
intervento correttivo (B) 145, che prolunga la durata della FAV e previene la trombosi (B) 146
Nelle stenosi precoci delle FAV è consigliabile la confezione di una nuova anastomosi più a
monte, mentre nel caso di stenosi tardive con riduzione del lume oltre il 50% , diminuzione
del flusso e dialisi inadeguata è preferibile tentare una PTA 147,148, prima di pensare ad un
reintervento chirurgico (B)
.L’intervento chirurgico trova indicazione nelle stenosi tardive se la stenosi recidiva più di
due volte in 3 mesi o se la PTA non appare risolutiva per la sede o l’eccessiva lunghezza
della stenosi (B). Il tipo di tecnica: scelta fra un’angioplastica chirurgica piuttosto che un
“bridge” o la confezione di una FAV più a monte è affidata all’esperienza del chirurgo.
6.4.2 Stenosi nelle FAV protesiche .
Negli accessi protesici, la stenosi è molto più frequente, rispetto alle FAV native 149, e si
localizza prevalentemente a livello dell’anstomosi venosa o 2/3 cm al di sopra di essa150,151
ed è dovuta allo sviluppo dell’iperplasia miointimale. L’eziologia chiamata in causa per la
stenosi della FAVP è multifattoriale 152,153, comprendendo la scarsa compliance tra protesi e
letto venoso del pz, lo stress emodinamico con la formazione di vortici, il rilasciamento di
fattori di crescita derivati dalle piastrine e processi di risposta mioproliferativa.
Altre localizzazioni delle stenosi, spesso multiple possono essere visibili lungo il decorso
della protesi e riconoscono come causa eziologica i processi di reazione e riparazione in
cicatrice, che avvengono dopo l’estrazione degli aghi. Contrariamente alle FAV native in
quelle protesiche la stenosi può essere presente con un rinforzo del thrill e dell’ampiezza del
polso. 154,155 Più rara la localizzazione della stenosi a livello dell’anastomosi arteriosa , che è
frequentemente dovuta all’evoluzione di un processo aterosclerotico. Il risultato è in tutti i
casi la riduzione del flusso, con effetti diversi a seconda della localizzazione della stenosi.
La terapia delle stenosi delle FAVP può in prima istanza essere attuata con PTA, specie
nell’ottica della prevenzione di una trombosi 156-159, ma soprattutto nei casi di ristenosi a
livello dell’outflow venoso è più risolutivo un “bridge” posizionato chirurgicamente che
“salti” la stenosi 160. L’intervento chirurgico correttivo della stenosi dovrebbe restituire alla
FAV nativa o alla FAVP un flusso adeguato per la dialisi (B).
6.5 Trombosi
La trombosi rappresenta il risultato finale di una sindrome a basso flusso, dovuta in oltre
l’85% dei casi alla presenza di una stenosi , e costituisce la prima causa di perdita
20
dell’accesso nel breve, ma soprattutto nel lungo termine, sia per le FAV native che protesiche,
anche se. le FAV presentano un’incidenza di trombosi notevolmente inferiore, rispetto a
quelle protesiche
La trombosi precoce (entro 30 giorni) riconosce tra le cause eziologiche in prevalenza errori
della tecnica chirurgica, inadeguato “run in”, inadeguato “run off”ed una puntura troppo
precoce, ma anche fattori connessi al pz, come uno stato di ipotensione permanente, aritmie,
eccessiva disidratazione, stati trombofilici, funzione renale ancora soddisfacente con FG
troppo elevato, dislipidemia, aterosclerosi, valori eccessivamente elevati di ematocrito,
trattamenti e.v. precedenti che hanno determinato una fibrosi del letto venoso. Nel caso di
trombosi ripetute soprattutto dell’accesso primario , il pz deve essere riconsiderato nella sua
globalità, allo scopo di eseguire esami ad un livello superiore di specificità, indagando per
la presenza ad esempio di una funzione renale ancora sufficiente, di una trombofilia
misconosciuta o per visualizzare lo stato dell’outflow venoso nei vasi centrali. La trombosi
tardiva rappresenta nella grande maggioranza dei casi l’epigono di una stenosi
misconosciuta, prevalentemente locata all’outflow venoso. Oltre a questa tra le cause delle
trombosi tardive vanno ricordate anche l’eccessiva compressione dell’accesso dopo
l’estrazione degli aghi (evitare gli apparecchi premifistola!), l’inadeguata cura dell’accesso e
i microtraumi occupazionali.Per il ripristino del flusso sono talora utili terapie farmaco –
meccaniche 161-164 per la lisi del trombo, anche se la trombectomia chirurgica presenta un
ruolo di elezione (A) 165,166. E’ importante che, qualsiasi sia la procedura adottata, si ottenga
il ristabilimento del flusso nell’85% almeno dei casi trattati (A)
La trombectomia va eseguita appena possibile (A), ma può aver successo anche dopo
qualche giorno dalla trombosi dell’AV (B), anche se i risultati appaiono inferiori.
L’accesso vascolare può essere usato immediatamente per l’emodialisi nella quasi totalità dei
casi.
Subito dopo la restaurazione del flusso, è essenziale praticare indagini strumentali, (utile fra
tutte la fistolografia) accertare la causa della trombosi e completare eventualmente
l’intervento, pena la comparsa di una recidiva trombotica (A)
6.5.1 Trombosi delle FAV native
La percentuale di insuccesso precoce (entro 2 mesi) di una FAV nativa varia notevolmente
da centro a centro in un range dal 20 al 50%, comprendendo in questi valori anche i difetti
di maturazione 167 successivamente, è attesa una incidenza inferiore a 0.25 episodi
trombotici per paziente per anno di funzione (B).
Il trattamento della trombosi in una FAV puo’ variare notevolmente a seconda della causa
che l’ha determinata da una semplice trombectomia, nel sospetto di un episodio ipotensivo, al
rifacimento dell’anastomosi o ad altre soluzioni , da programmare dopo la rivalutazione
clinico- strumentale
6.5.2 Trombosi delle FAV protesiche
L’insuccesso precoce (entro 1 mese) di una FAVP inserita come accesso primario varia dal 5
al 15%, a seconda della sede. L’insuccesso precoce è frequentemente dovuto a problemi
tecnici, ma anche all’ età del paziente, alle comorbidità, allo stato dei vasi , al numero dei
precedenti AV o ad una puntura prematura.168
La frequenza di trombosi tardive nelle FAVP è assai superiore rispetto a quello evidenziato
nelle FAV e varia da 0.5 a 2 episodi/ per protesi /per anno 169 Il monitoraggio della FAVP
21
può ridurre l’incidenza della trombosi a 0,5 per anno (B),170 pretrattando la sua più frequente
causa , che è costituita dalla stenosi dell’outflow venoso, rilevabile al rilievo angiografico in
oltre il 90% dei casi
La pervietà cumulativa delle FAVP dovrebbe essere almeno 70% al 1° anno, 60% e 50%,
rispettivamente al 2° e 3° anno (B)
Il trattamento chirurgico della trombosi nella FAVP deve essere attuato al più presto per
evitare il posizionamento di CVC. (B)
6.6 Infezione
L’infezione dell’AV è relativamente frequente, in particolare per le FAVP , specie sintetiche
e, rappresenta una delle principali cause di perdita dell’accesso e la seconda tra le principali
cause di morte per l’uremico, subito dopo la malattia cardiovascolare 171 Infatti, se l’infezione
evolve in sepsi, possono insorgere infezioni metastatiche che coinvolgono il midollo, le
articolazioni, l’encefalo ed altri organi interni.. L’incidenza di infezione è estremamente
diversa a seconda del tipo di AV, variando dall’1% al 4% per le FAV native e dall’11% al
20% per quelle protesiche durante il periodo di utilizzo.173,174 L’incidenza di infezione è
estremamente variabile da centro a centro,e prevalentemente determinata dallo Stafilococco
Aureo 175; è comunque dimostrato che gli accessi protesici sono i più esposti all’infezione 176
con una incidenza fino a 5 volte superiore rispetto alle FAV native.
Il tasso di infezione non dovrebbe superare l’1% nelle FAV primarie, il 10% negli AP per
tutta la durata di funzione 177,178
A tal fine va posta particolare attenzione alla profilassi preoperatoria sia con adeguata
preparazione del paziente che con profilassi antibiotica 179
Per i CVC tunnellizzati l’incidenza dovrebbe essere inferiore al 50% entro il primo anno (B)
180
Tanto il pz sensibilizzato al problema, , quanto gli operatori sanitari dovrebbero attuare la
prevenzione dell’infezione con programmi dedicati di sorveglianza locale e precisi protocolli
di mantenimento dell’igiene ambientale 181-183; la prevenzione infatti ha un ruolo
preponderante nello sviluppo dei processi infettivi correlati all’AV.
6.6.1 Infezione nelle FAV native
L’infezione precoce (entro il primo mese) delle FAV primarie è rara, si può verificare talora
nei pz diabetici o malnutriti, ma deve essere considerata un evento grave a causa dello stato di
immunodepressione tipico del pz uremico. Se l’infezione insorge con arrossamento della
ferita operatoria ed edema nell’immediato periodo postoperatorio, è prudente ricoverare il
pz, trattarlo con antibioticoterapia ev 184ed elevazione dell’arto per controllarne l’evoluzione.
Se la situazione non si risolve, diventa ingravescente o se sono coinvolte le anastomosi, va
praticata chiusura della FAV , exeresi del tessuto infetto ed eventuale angioplastica
sull’arteria.
Più spesso, l’infezione tardiva inizia con i segni della flogosi locale attorno al tragitto di
penetrazione di un ago per dialisi ed interessa gli strati superficiali della cute. E’ necessario
in questo caso astenersi dall’utilizzare per la puntura l’area interessata dalla flogosi ed
instaurare immediatamente una terapia antibiotica ad ampio spettro (per lo più vancomicina
ed aminoglicoside) o mirata, se è disponibile l’antibiogramma. L’infezione nelle FAV, se
trattata immediatamente con questa procedura, si risolve in genere, con il mantenimento
della funzione. Se invece l’infezione non tende alla risoluzione con l’antibioticoterapia, e
22
compaiono segni di sepsi, la FAV deve essere chiusa ed il pz dovrebbe essere
immediatamente trattato come se fosse affetto da endocardite batterica subacuta,
somministrando antibioticoterapia per 6 settimane, dopo aver effettuato le culture locali e
l’emocultura (B), per l’alto rischio di embolizzazioni settiche, anche letali
Nel caso di comparsa di aree translucide, necrotiche e secrezioni puruloidi, che preludono a
un’ erosione della cute soprastante e conseguente grave emorragia, o nel caso si manifestino
emboli settici, la FAV dovrebbe essere immediatamente chiusa chirurgicamente (B) 185.
La confezione di un altro accesso va eseguito in una sede diversa a processo infettivo
sicuramente spento.
6.6.2 Infezione negli Accessi Protesici
Al contrario che nelle FAV native, in quelle protesiche è particolarmente frequente, fino al
20% dei casi, e necessita quasi invariabilmente, oltre ad una antibioticoterapia mirata 186,
dell’opera del chirurgo 187 che, sulla base della propria esperienza, deve trovare un punto di
equilibrio tra controllo del processo infettivo e conservazione dell’AV funzionante.188
Se l’infezione insorge in un periodo postoperatorio precoce (entro un mese dall’intervento), o
si sviluppa in prossimita’ dell’anastomosi arteriosa, la FAVP deve essere chiusa e la protesi
totalmente rimossa sotto copertura antibiotica, a prescindere dall’estensione del processo
infettivo(A).
Nel caso di infezioni localizzate, che si verificano dopo il primo mese, se queste sono
distanti dalle anastomosi vascolari, si può praticare sotto copertura antibiotica la toilette
chirurgica dell’area infetta e/o la resezione del segmento infetto (B) col posizionamento di
un nuovo segmento protesico 189
Nel caso di infezioni estese, coinvolgimento delle anastomosi vascolari o presenza di
setticemia, l’AP deve essere chiuso e totalmente rimosso sottocopertura antibiotica (A).
Un’anemia resistente alla somministrazione di eritropoietina potrebbe rappresentare la spia
di un’infezione subclinica, a partenza da un accesso vascolare ,anche trombizzato da tempo,
evidenziabile con tecniche radioisotopiche che utilizzazo i GB marcati .
Nel caso di batteriemia e setticemia , che possono insorgere anche in assenza di una
sintomatologia clinica in sede dell’AV, il chirurgo deve provvedere alla chiusura dell’AP e
alla completa rimozione della protesi infetta (B)
6.7 Aneurisma vero
Con il termine di aneurisma dell’AV si intende l’ abnorme dilatazione circoscritta di un vaso
utilizzato nella creazione di un accesso vascolare emodialitico. Si parla di aneurisma vero
quando la dilatazione, concentrica o eccentrica, presenta una parete costituita dagli elementi
parietali del vaso interessato; la dilatazione aneurismatica fa parte della storia della FAV e
l’unica avvertenza da ottemperare è quella di non incannulare la sede dell’aneurisma (B).
L’aneurisma infatti non dovrebbe essere trattato chirurgicamente, a meno che non coinvolga
l’anastomosi arteriosa. (B) o che presenti dimensioni tanto importanti da infastidire il
paziente.
L’ ingrandimento progressivo di un aneurisma può però comportare la formazione di trombi
all’interno, con rischio di trombosi dell’AV, embolizzazione periferica, ischemia a valle della
FAV, erosione della cute soprastante, infezione e rottura con emorragia cospicua, anche
23
letale Qualora all’aneurisma sia associata una stenosi venosa, più spesso post-anastomotica,
questa dovrebbe essere corretta, contemporaneamente o successivamente alla resezione
dell’aneurisma (B).
6.7.1 Aneurisma su FAV nativa
Si può verificare in sede iuxta-anastomotica a causa di una stenosi del segmento venoso postanastomotico
e in questo caso va preferita la correzione chirurgica, praticando una nuova
FAV con gli stessi vasi, subito a monte della precedente, oppure può insorgere dopo accessi
ripetuti sulla stessa sede di puntura della FAV 190
Anche cause anatomiche possono essere responsabili della formazione di aneurismi su FAV;
ad esempio, le valvole lungo la vena arterializzata possono costituire una sede di minor
resistenza e sviluppare stenosi ed aneurismi.
Le opzioni terapeutiche consistono nella resezione chirurgica dell’aneurisma con anastomosi
termino-terminale del vaso diretta o con interposizione protesica (B).. Una eventuale stenosi
post-aneurismatica puo’essere corretta con PTA; opzione di seconda scelta da evitare sul
decorso dei vasi che devono essere punti.. Qualora tutta la vena arterializzata si presenti
aneurismatica e risulti poco agevole la puntura, può richiedersi un lungo innesto protesico o
la chiusura della FAV e l’istituzione di un nuovo AV in altra sede.
.
6.7.2 Aneurisma della FAV protesica
L’utilizzo di protesi biologiche o semi-biologiche comporta un maggior rischio di
insorgenza di un aneurisma, rispetto alle protesi in PTFE, 191 particolarmente frequente se non
viene osservata una rotazione delle punture, per degenerazione della parete protesica.
A seconda delle dimensioni, della sede e dello stato della parete aneurismatica, ed in sicura
assenza di processi infettivi, si può praticare exeresi del tratto aneurismatico ed angioplastica
della porzione residua , oppure sostituzione con un nuovo segmento di protesi.
L’accurata rotazione delle punture per tutto il percorso della protesi (A) ,adottando la tecnica
di incannulazione del tipo “rope-ladder”, costituisce la miglior forma di prevenzione per
l’insorgenza di aneurismi nelle FAVP.
6.8 Ischemia
La “sindrome da furto” è una s. ischemica che compare quando, in presenza di un AV , si
determina un fenomeno di emostorno importante, tale da risultarne una ipoperfusione
periferica e quindi un’ischemia dell’arto a valle dell’AV . Dal punto di vista emodinamico, il
flusso distalmente all’AV viene completamente sovvertito: il flusso arterioso diventa
centripeto e quello venoso centrifugo con conseguente grave riduzione dell’ossigenazione dei
tessuti periferici 192,193.
Ogni pz portatore di un AV dovrebbe essere controllato periodicamente per l’eventuale
comparsa di ischemia (B) .
I pz che presentano un circolo arterioso periferico esiguo, anomalo o comunque
compromesso, come i diabetici , gli anziani, i pz affetti da collagenopatie , i bambini, i pz
con pregressi fallimenti di AV appaiono particolarmente esposti a tale complicanza e
24
andrebbero controllati strettamente per le prime 24 ore dopo l’intervento, come pure anche
nel successivo decorso (B)
I sintomi da ricercare sono:
• sensazione di freddo ed ipersensibilità all’ipotermia, pallore, parestesie, comparsa di dolore
in corso di lavoro muscolare, insufficienza funzionale dell’arto omolaterale alla FAV
• iposfigmia, o scomparsa dei polsi periferici, che debbono sempre essere ricercati, ma che
possono non essere presenti , se il paziente ha già subito precedenti interventi di accesso
vascolare o per concomitanti patologie.
• Comparsa di dolore, che si esacerbano durante il riposo notturno e si attenuano fino a
scomparire esercitando una digitopressione in sede di anastomosi.
• Accentuazione dei sintomi durante la dialisi
• Comparsa di lesioni a carico dei nervi periferici, con rischio di paralisi ischemica
• Comparsa di distrofie cutane / ungueali e lesioni trofiche come conseguenza di traumi
insignificanti, all’inizio prevalentemente acromiali , a valle dell’AV, che possono evolvere
anche nella perdita dell’arto.
La diagnosi differenziale avviene con:
- neuropatia uremica
- neuropatia diabetica
- sindrome del tunnel carpale.
Un pz con sospetto di ischemia periferica e/o di s .da furto deve essere riferito
tempestivamente al chirurgo vascolare (B), che potrà confermare la diagnosi con l’esame
obiettivo e strumentale 194,195, consigliare le misure fisiche idonee (guanti ..) e continuarne
l’osservazione nel tempo, per identificare iniziali danni neurologici o trofici cutanei ,che
indirizzano al trattamento chirurgico 196 ed alla scelta della tecnica più idonea come ad
esempio la legatura dell’arteria radiale distale 197,198
6.9 FAV ad alto flusso
Le FAV ad alto flusso generalmente si sviluppano nelle FAV prossimali, anche se sono
riportati casi sporadici con quelle distali 199-203 In particolare piu’ le FAV prossimali
riducono la loro distanza dal cuore (FAV basilica, FAV axillo-ascellare) piu’ facilmente
possono interferire con l’emodinamica cardiaca 204,205 sino al punto da creare uno scompenso
cardiaco; anche se ,in un paziente emodializzato, la genesi di uno scompenso cardiaco puo’
dipendere da svariati motivi come da una grave anemia, da una iperidratazione, da una
ipertensione non controllata, ed infine da patologie cardiache preesistenti. Si ritiene
comunque che una FAV con flusso > 1000 – 1500 ml/min possa generare autonomamente
una insufficienza cardiaca , anche se in realta’ cio’ sia estremamente individuale da paziente a
paziente. . In questi casi puo’ dapprima essere tentato un trattamento conservativo con
controllo del peso corporeo, esercizio fisico e terapia farmacologica (ACE inibitori, Beta
bloccanti, diuretici, etc.); se cio’ non riduce l’insufficienza cardiaca occorre provvedere
chirurgicamente alla diminuzione della portata della FAV con “banding” della vena efferente
o interposizione di un segmento protesico a piu’ piccolo calibro, peraltro con scadenti
risultati, oppure nelle FAV distali con legatura dell’arteria radiale subito prossimamente
25
all’anastomosi e in quelle prossimali con legatura e sezione della vena efferente ed innesto
protesico tra questa ed un vaso arterioso molto piu’distale.206,207
Linea guida 7
Indicazioni al posizionamento di CVC
Il CVC rappresenta un indispensabile ausilio per attuare il trattamento dialitico del pz
durante il periodo di maturazione dell’AV primario o per il trattamento delle complicanze
che possono intercorrere durante l’uso dell’AV .
La sede preferibile per l’inserzione del CVC è rappresentato dalla vena giugulare interna
destra, rappresentando la v. succlavia una seconda scelta (A). Per il posizionamento del
CVC, che deve essere tunnellizato anche per attuare una dialisi temporanea, è utile l’impiego
dell’ecodoppler (B). La posizione del tip va controllata radiologicamente al termine della
manovra (B).
L’uso dei CVC andrebbe però assolutamente scoraggiato per la limitata durata di funzione e
il rischio di complicanze anche assai gravi ad esso correlate. La durata funzionale del CVC
si attesta infatti fra 6 mesi ed un anno, con ampie variazioni fra centro e centro: Lund
208riporta una sopravvivenza cumulativa dei CVC all’anno del 30 % , Suchoki 209 di circa
il 50%. e Canaud 210di soli 57 giorni. I rischi principali correlati all’uso dei CVC sono le
infezioni, locali e sistemiche , che compaiono con incidenza assai superiore rispetto alle
FAVnative e protesiche 211-214 e possono essere anche letali. 215
Un’altra complicanza assai grave che si verifica talora anche dopo poche settimane di
permanenza del CVC, è costituita dalla stenosi dei grossi vasi venosi del torace ,che può
esitare in trombosi 216-220, precludendo così per mesi e talora per sempre la possibilità di
usare gli arti superiori per la costruzione degli AV.
Questi problemi devono essere spiegati al pz, che tende inizialmente a preferire il CVC per la
dialisi, a causa della facilità di gestione e dell’assenza di dolore che ne contraddistinguono
l’utilizzo.
Le indicazioni al posizionamento del CVC vanno limitate al trattamento temporaneo in vista
di un trapianto da vivente; trova invece indicazioni come accesso permanente quando
rappresenti l’unico accesso possibile per il pz a causa di un totale esaurimento dei vasi , per
una situazione di scompenso cardiaco grave oppure quando l’aspettativa di vita del pz
appaia significativamente ridotta.
Linea guida 8
Programma di sorveglianza dell’accesso
Il periodico monitoraggio dell’accesso può evidenziare alterazioni emodinamiche che fanno
sospettare una stenosi prima che l’AV vada incontro a trombosi riducendo così l’incidenza
della stessa con eventuali manovre correttive, preventivamente attuate.
26
Il programma di sorveglianza ha lo scopo di esaminare periodicamente ,cioè almeno una
volta al mese (B) , lo stato dell’AV, allo scopo di identificarne il malfunzionamento e
prevenirne la trombosi. La correzione di una complicanza dell’AV su una base
programmata, senza che si rendano necessarie procedure in urgenza, offre infatti risultati
migliori di sopravvivenza dell’AV, consente un risparmio del patrimonio vascolare del pz ,
riduce i costi di gestione , riduce la morbilità e la mortalità del pz .. Viene infatti riportata da
alcuni Autori una pervietà del 78.9% a 3 mesi dal reintervento attuato per la stenosi della
FAVP prima che si verifichi la trombosi. Al contrario, se la stenosi della FAV viene
corretta dopo una trombosi, la pervietà si abbassa significativamente fino a raggiungere
valori del 40% .
La sorveglianza dell’AV è in gran parte affidato all’attenzione del nefrologo e del personale
che gestisce la dialisi, anche se ancora una volta la discussione dei casi deve avvenire con
un “team” multidisciplinare, L’incremento di una dilatazione aneurismatica, la presenza di
circoli collaterali, l’edema o il difficoltoso svuotamento del letto venoso di una FAV con
l’elevazione dell’arto, il rinforzo di un polso su una FAVP, l’evidenza palpatoria di una
stenosi , la scomparsa del thrill nelle FAV , il rinforzo dello stesso negli AP e un prolungato
sanguinamento dopo estrazione degli aghi , si accompagnano ad un anomalo funzionamento
dell’AV e possono identificati precocemente dall’ anamnesi e da un semplice esame
obiettivo periodico, completo delle sue varie fasi (ispezione,palpazione,auscultazione), che
rappresentano il fondamento di un programma di “ monitoraggio” dell’AV. Ulteriori
informazioni vengono fornite dalla “sorveglianza” del nefrologo, che, dai dati strumentali
pre-post emodialisi ed intradialitici avverte , primo fra tutti i dati, la presenza di un
“ricircolo” . Solo l’insieme dei dati, può fornire un indirizzo preciso per una corretta
procedura di riparazione (A).
Il cattivo funzionamento dell’AV conduce ad uno stato di insufficiente dialisi, che comporta
un incremento di morbilità e mortalità (Evidenza) . Il decremento di solo 0.1 nel rapporto
Kt/V , (cioè della quantità di urea ripulita dal plasma nell’unità di tempo diviso per la
distribuzione del volume di urea) dato che misura l’adeguatezza della dialisi , è infatti
associato significativamente (P<0.05) ad una ospedalizzazione maggiore dell’11% e ad un
incremento di spesa di $940 per paziente. Senza entrare nel merito delle varie metodiche di
misurazione di flusso dell’AV, che vengono lasciate all’esperienza del nefrologo ed esulano
dallo scopo di queste linee guida, si ricorda che sono preferibili le metodiche di esame non
invasive: un esame ecocolordoppler sequenziale con rilievo del flusso è infatti ampiamente
informativo(A ) se praticato da un operatore esperto. La fistolografia, allargata ai grossi vasi
di deflusso, rimane però il miglior “test diagnostico” per precisare la sede e gli aspetti
morfologici della complicanza, ed è indispensabile per programmare la tempistica ed il tipo di
riparazione.Un programma di controllo della qualità, che tenga conto dell’esito, della
necessità di ulteriori manovre chirurgiche o radiointerventistiche per l’effettivo utilizzo
dell’AV, del monitoraggio postoperatorio e della durata totale dell’accesso, è infine
indispensabile per una efficace valutazione da parte del chirurgo vascolare dedicato e del
centro dialisi.
27
Aspetti Logistici ed Amministrativi
Suggerimenti di tipo organizzativo e tenico-amministrativo inseribili in un
processo di “re-engineering” dell’accesso vascolare.
Raccomandazione 1
Alla base di tutto è necessario creare un Vascular Access Work Group formato da
Chirurghi e Nefrologi e in senso più ampio da chi si deve occupare del percorso del paziente
affetto da IRC che deve costruire un accesso vascolare per emodialisi.
Necessario per costituire il gruppo di lavoro:
��Verifica degli operatori (censimento)
��Definizione dei criteri di “accreditamento”
��Verifica degli spazi operatori disponibili e “planning” (Direzioni Sanitarie di P.O.)
��Definizione dei tempi di esecuzione dell’accesso vascolare
��Definizione di linee guida condivise sull’iter del Paziente (Care Pathways)
��Definizione degli standards attesi (regole del gioco) del “servizio” e della “garanzia”
:Equità; Accessibilità; Tempestività; Appropriatezza; Efficacia; Efficienza; Continuità
assistenziale
Raccomandazione 2
Coinvolgere il Nefrologo stimolandone la presenza nel Vascular Access Work Group,
cercando il coinvolgimento degli I.P. e chiedendo di poter avere di fronte un Nefrologo di
riferimento (incarico professionale - job description) per ogni P.O. rivedendo la modulistica di
richiesta della valutazione chirurgica, invitandolo a condividere le linee guida diagnostiche e
terapeutiche e le classi di priorità clinica.
Raccomandazione 3
corretta e condivisa gestione dell’accesso vascolare (maturazione, pungibilità) e
“circolazione” tempestiva delle notizie, in particolare per la failing fistola ( WARNING).
Raccomandazione 4
Importanza dei rapporti con i Pazienti per le informazioni ed il consenso.
Raccomandazione 5
Individuare un Chirurgo di “riferimento” per ogni P.O. (A.S.L.) inserito in un team standard
(2 Chirurghi; 2 I.P. ed 1 Anestesista in stand by) che possa operare in uno spazio operatorio
“dedicato”, il tutto nell’ambito di un collegamento in rete in una eventuale Area Vasta. Di
riferimento
Necessario inoltre definire dei tempi “certi” dell’esecuzione dell’intervento secondo criteri di
“priorità”, creare un Registry per la raccolta dei dati clinici, diagnostici e chirurgici e
programmare un corretto follow-up al fine di evidenziare la failing fistola.
28
.
DEFINIAMO LO STATEMENT del gruppo dei “chirurghi dell’accesso” che
devono garantire al nefrologo l’esecuzione della FAV nei tempi previsti (24/7/365)
con chirurghi accreditati, possibilmente nel presidio di appartenenza. Il gruppo dei
“chirurghi per l’accesso” opera nel rispetto delle linee guida concordate
possibilmente a livello nazionale (SICVE; SIN??) garantendo la valutazione
continua dei risultati ottenuti .
LINEE GUIDA
��Adesione alle linee guida della SICVE, della VAS e della “National Kidney
Foundation”
��Integrazione con alcuni dati emersi negli incontri dei Chirurghi Vascolari a livello
delle Società Nazionale di appartenenza (SICVE)
��Successivamente sarà utile cercare un’integrazione con i Nefrologi.
��Importanza nella fase diagnostica del così detto Planning multistep
��Ruolo della diagnostica ecocolordoppler
“CHIRURGHI PER L’ACCESSO”
E’ costituito dai chirurghi vascolari appartenenti alle Strutture Complesse o Semplici in un ambito di Area
Vasta (in molte parti d’Italia già in ambito di Dipartimenti Aziendali e in futuro Interaziendali) che hanno
condiviso e sottoscritto le linee guida professionali e organizzative della SICVE. Tali Strutture di Chirurgia
Vascolare indicano nel proprio organico “incarichi professionali” specifici, garantendo comunque la
interscambiabilità generale (job description).
“GARANTISCE NEI TEMPI PREVISTI (24/7/365)”
Il gruppo dei chirurghi si fa carico dell’organizzazione e dell’esecuzione dell’accesso vascolare dei Pazienti
dell’Area Vasta indipendentemente dagli eventuali problemi di tipo “locale” (limitare la “migrazione” nella
Regione e oltre).
Ci deve essere un Chirurgo di Riferimento per ogni ASL o un Centro di Riferimento di Area Vasta.
“CHIRURGO ACCREDITATO”… colui che sa cosa fare e lo fa bene…
E’ il Chirurgo Vascolare con esperienza minima come primo operatore di 20 FAV distali, 20 FAV
prossimali, 10 FAV protesiche. Individuazione nei centri che devono dare l’accreditamento ovvero di un
Grandfathering (con relativo percorso formativo). Deve inoltre avere un’esperienza di diagnostica vascolare
ed è infatti auspicabile che lo studio pre-procedurale venga effettuato da parte dello stesso chirurgo operatore
secondo linee guida concordate per il percorso diagnostico, in seguito anche a partecipazione a stages
specifici. A tal proposito sarà necessario individuare Indicatori e Certificatori dell’accreditamento che
possono esser ad es. i Direttori delle Strutture Complesse di Chirurgia Vascolare. Necessario anche il
mantenimento dell’accreditamento con Esecuzione di un TOT NUMERO (da stabilire) di procedure ogni
anno, partecipazione agli incontri di lavoro e agli audit ed ad almeno un corso di aggiornamento ogni 2 anni.
“POSSIBILMENTE NEL PRESIDIO DI APPARTENENZA”
Si propone lo schema dei cerchi concentrici con indicazione dei Chirurghi “accreditati” che lavorano nei vari
PP.OO. delle diverse Aziende e del loro coordinamento “locale”, del referente di P.O., del coordinatore di
ASL inseriti nell’ambito di una rete interaziendale (network) nell’ambito dei Centri di Riferimento di Area
29
Vasta. Mediante l’istituzione di una segreteria organizzativa è importante individuare i periodi critici previsti
e prevedibili (ferie) in modo da risolvere anche il problema delle urgenze anche con la mobilità dei
Chirurghi.
“VALUTAZIONE CONTINUA”
Può esser fatta mediante lo strumento dell’Audit ad es. ogni 2-3 mesi per i chirurghi ed ogni 4-6 mesi per il
gruppo completo (Nefrologi, Chirurghi; Infermieri Professionali), con un’analisi (mensile?) che tenga conto
del Numero delle procedure e la loro tipologia (% FAV native, % reinterventi, % catetere venoso centrale, %
scostamento dai tempi di attesa concordati, % “fughe” per singolo centro e per il gruppo).
“RISULTATI”
Bisogna innanzi tutto definire lo standard di qualità e questo tramite l’adesione alle linee guida della
diagnostica pre-procedurale con una valutazione strategica “multistep”, ma anche a quelle della procedura
chirurgica che prevede la costruzione della FAV “nativa” in almeno il 70% con determinato tasso di pervietà
primaria (30 gg), cumulativa, di tasso di infezione e di complicazioni nell’inserimento del catetere a
permanenza.
“REGISTRY”
Sarà importante per la valutazione e l’analisi dei risultati la creazione di un Registry di Area Vasta “in rete”,
dove avvenga una registrazione “omogenea” dei dati clinici, diagnostici, chirurgici e di follow-up e che
consenta un controllo degli standards di qualità permettendo un monitoraggio dell’attività e la gestione delle
criticità. Indipendentemente dalle “criticità” del singolo P.O. o della singola ASL, è il “Gruppo” che si fa
carico delle problematiche di natura vascolare.
Raccomandazione 6
organizzare una Procedura per la presa in carico del paziente (si stà lavorando per fare le
CLINICAL PATHWAYS).
Raccomandazione 7
istituire le classi di priorità (tab 1) clinica e un percorso diagnostico-terapeutico (in
accordo col Nefrologo), con cui creare un vero e proprio team.
Raccomandazione 8
creare di una scheda di richiesta di valutazione e/o di esecuzione di procedura inviabile
per fax o e-mail (tab.2,3). ed istituire inoltre una reperibilità
telefonica 25/7/365
Raccomandazione 9
programmare la valutazione del pz. e la data dell’intervento con un corretto ed
appropriato uso degli spazi ambulatoriali e delle sale operatorie. Tutto ciò deve
permettere di portare le liste di attesa sia per la costruzione dei primi accessi che dei
reinterventi programmati (failing fav) ai tempi richiesti dal nefrologo. Le Urgenze
devono esser trattate in tempi “ragionevoli” o meglio nei tempi “giusti”.
30
Tab 1.
RICHIESTA DI VALUTAZIONE CHIRURGICA PER ACCESSO
VASCOLARE PER EMODIALISI
Reparto richiedente……………..
Data …………….
Cognome: …… Nome…..
Data di nascita: …………… Ricoverato S/N: ��
Primo accesso S/N: �� Giorni dialisi…………
Quesito circostanziato: ………………………………………………
Patologia associata: ………………………………………………….
Grado di priorità………… (gg. di attesa possibili)
Il Medico Richiedente
DATA APPUNTAMENTO: ………………….ORE: ………………
Tabella 2
CLASSI DI PRIORITA’ CLINICA
��CLASSE A (entro 24-48 h)
��Ostruzione di protesi
��Failing fistula con stenosi
preocclusiva
��CLASSE B (entro 7-15 gg)
��Failing fistula (funzionante)
��Catetere temporaneo o tunnellizzati
long term
��CLASSE C (entro 30 gg)
Primo accesso
31
SCHEDA DI VALUTAZIONE CHIRURGICA PER L’ACCESSO
VASCOLARE (presa in carico)
•Generalità (nome, cognome, età)
•Data della valutazione
•Provenienza (P.O., Nefrologo inviante)
•Tipo di richiesta : ordinaria/urgente (primo accesso, grado di priorità, previsione
dell’utilizzo, failing fistula)
•Notizie cliniche (anamnesi specifica, condizioni generali in previsione
dell’intervento per la specifica assistenza operatoria e di degenza)
•Valutazione vascolare per l’accesso con previsione multistep e indicazione di
preferenza strategica (ecocolordoppler)
•Indicazione del tipo di accesso previsto e eventuali problematiche chirurgiche
•Previsione della data di intervento (range). Classe di priorità.
•Comunicazione al Nefrologo “di riferimento” (cartografia dell’intervento)
•Informazioni per il consenso
Tabella 3
**************** RIFLESSIONI DA CUI PARTIAMO PER FARE DELLE
RACCOMANDAZIONI PER L’ORGANIZZAZIONE DELLA FASE
CHIRUGICA VERA E PROPRIA DELL’INTERVENTO.
Per quanto attiene la fase intraoperatoria nell’accezione di una fase delprocesso comprensivo di tutto quello
che riguarda il “prendersi cura” del paziente che deve costruire l’accesso vascolare per emodialisi (e degli
aspetti organizzativi che da ciò ne derivano), ci sono spunti di riflessione e discussione importanti.
La fase intraoperatoria infatti non si limita all’intervento in senso stretto e sarebbe riduttivo considerarla tale, in
quanto coinvolge tutta una serie di problematiche organizzative legate alla programmazione dell’intervento e al
corretto uso degli spazi operatori.. La necessità ad es. di un supporto radiologico quale quella dei reinterventi
trattati con terapia endovascolare o il posizionamento dei cateteri, presuppone una programmazione “meditata”
degli interventi D’altra parte a questo si lega anche l’aspetto tecnico del tipo di intervento e quindi del tipo di
anestesia. Sebbene il 90% degli accessi vascolari possa esser fatto in anestesia locale la delicatezza di questo
tipo di pazienti e le loro comorbidità rendono necessaria la presenza di un’anestesista stand by.
Raccomandazione 10
1) eseguire una programmazione meditata del tipo di ricovero in base al tipo di
paziente (età, comorbidità, turni di dialisi, criteri di eligibilità in day surgery) ed al tipo
di intervento (semplice, complesso, endovascolare con necessità dell’assistenza
radiologica).
2) il tipo di ricovero è possibilmente giornaliero o day surgery (one-day surgery) che
può necessitare però di una notte di degenza se lo richiede l’interevento o la non
esigibilità del paziente alla day surgery stessa.
32
3) il luogo del ricovero va rapportato alle realtà locali ovvero se siamo in presenza di
ospedali con reparti di degenza e di ricovero per intensità di cure o se ancora con
divisione in UU.OO. (Chirurgia Vascolare, Nefrologia?). Il ricovero comunque a
prescindere da questo dovrà esser organizzato in base a quanto detto ai punti 1 e 2. (es.
i reparti di day surgery sono talvolta in sedi diverse e non organizzati ad.es. ad un
trattamento endovascolare o alla one day surgery).
4) la chirurgia degli accessi vascolari NON PUO’ ESSERE UNA CHIRURGIA
AMBULATORIALE data la complessità dei pazienti che si trattano a prescindere
dalla complessità del tipo di intervento e su questo non dobbiamo transigere né per
comodità organizzative nè per pressioni economiche e amministrative.
5) la sala operatoria deve essere una sala operatoria a tutti gli effetti con 2 Chirurghi, 2
Infermieri professionali (al massimo 1 IP e 1 OSS), 1 anestesista almeno in stand by
(l’anestesista deve esser disponibile su chiamata nel blocco operatorio).
6) Sarà nostra cura ed interesse chiedere la valutazione preoperatoria del paziente
all’anestesista e la sua presenza in sala operatoria non solo in stand by, qualora le
condizioni generali del paziente da un lato o il tipo di intervento previsto dall’altro lo
consiglino.
7) La sala operatoria deve oltre a quanto detto al punto 5 una sala dove sia possibile
eseguire un intervento di chirurgia vascolare protesica o un intervento endovascolare e
comunque questo rientra nella corretta ed appropriata programmazione del ricovero e
dell’intervento vista ai prmi 3 punti.
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